Innovazione ed accelerazione sociale

Quale momento storico stiamo vivendo? Cosa sta accadendo attorno a noi? Cos’è la modernità e come sta cambiando le nostre vite? E la tecnologia in tutto ciò ci sta davvero aiutando o ci sta ostacolando? 

Sono anche queste le domande attorno alle quali un Innovation Manager ha il dovere di fare ricerca, per un’ osservazione non superficiale e per poter aggiungere “valore” al mero processo di innovazione, garantendo risultati di lungo periodo per le aziende clienti, per i loro stakeholder e per la società in generale.

Loading Future mette a disposizione delle aziende figure e competenze certificate nell’ambito Innovation Management, ma non intende certo fermarsi alle nozioni tecniche e ai precetti dell’Industria 4.0, con l’esecuzione di procedure e l’introduzione di tecnologie. Tale paradigma sta guidando un’evoluzione industriale che potrà esser definita “utile” soltanto se vista come un passaggio intermedio. Si tratta infatti di uno schema già superato dal più visionario ed evoluto modello della Society 5.0, termine apparso per la prima volta nel 2016 in un documento della Keidanren (Japan Business Federation) con il quale viene posto un obiettivo ancor più virtuoso e completo, quello di una trasformazione ed evoluzione “intelligente”, che abbracci la società favorendo uno sviluppo non solo economico e tecnologico, ma anche sociale.  Una corsa al progresso ha senso solo se è volta ad agevolare e migliorare la vita dell’uomo, inteso come singolo e come umanità più in generale. 

Di conseguenza, un Innovation Manager “pensante” non può prescindere dall’abbracciare una prospettiva di lungo periodo e nemmeno dall’adottare uno spirito critico rispetto alle diverse opportunità di evoluzione o di innovazione, rendendole funzionali al benessere dell’individuo e della società.  

Quello che ci proponiamo di fare ogni giorno, nell’ambito dell’Open Innovation e nella Gestione Strutturata dell’Innovazione in azienda, è anche sviluppare una riflessione critica sulle dinamiche implicite ad ogni innovazione, gestire le molteplici sfaccettature di un processo, garantire una prospettiva più alta ed estesa, al fine di “partorire” delle idee e dei business davvero vincenti e duraturi, in quanto sostenibili su tutti i piani. 

La ricerca e la passione che ci accompagnano quotidianamente nel nostro lavoro vanno oltre l’ approccio meramente tecnico; anzi, è proprio in un ambito più totalizzante, ma spesso non pienamente considerato, come nel caso della filosofia, che spesso troviamo ispirazioni e suggerimenti per poter fare davvero un buon lavoro.

Uno spunto particolarmente interessante, viene dal filosofo tedesco Hartmut Rosa e dal concetto di “social acceleration”.

Social acceleration nell’era della post-modernità

Hartmut Rosa, uno dei maggiori esponenti della filosofia tedesca contemporanea, ha cercato di inquadrare le categorie di “accelerazione” e “innovazione” in chiave filosofica, al fine di studiare le loro caratteristiche e l’impatto sulle sfere del vivere civile. Analizzando le dinamiche di ogni giorno, il ritmo di vita di ciascun individuo e le sue percezioni riguardo la realtà che lo circonda, egli ha elaborato una teoria filosofica secondo la quale la società occidentale contemporanea è segnata da processi di accelerazione tecnologica e sociale, generati proprio dalla modernizzazione e dalla digitalizzazione, che stanno rivoluzionando ogni aspetto della nostra vita. 

Ogni giorno cresce sotto i nostri occhi il numero delle nuove soluzioni fruibili e capaci di aumentare la rapidità con cui possiamo assolvere determinati compiti e attività nel quotidiano. In parallelo cresce esponenzialmente anche la potenza delle soluzioni tecnologiche esistenti, ovvero il possibile impatto di ciascuna di esse. Si parla infatti di “tecnologie esponenziali” a cui corrisponde, anche sul piano sociale, un tema di “accelerazione”. Ma prendiamo un esempio a noi più lontano, così da capire ancor meglio quanto calzante sia il concetto introdotto dal filosofo. Osservando il processo di comunicazione dal passato ad oggi, ad esempio, notiamo come la tele-trasmissione, a differenza di altri medium del passato, come un corriere medievale che spostandosi a cavallo trasportava e consegnava una lettera, ha reso possibile l’ubiquità ed una comunicazione estremamente rapida con persone anche molto distanti tra loro. 

Analogamente, potremmo pensare ai meeting virtuali, che hanno introdotto enormi vantaggi consentendoci di risparmiare spostamenti costosi e incredibilmente impegnativi, ma che dall’altra parte creano nei nostri interlocutori l’illusione di poter moltiplicare e usufruire all’infinito del tempo a disposizione e la nostra presenza su molteplici tavoli, finendo così per richiederci ancor più tempo, rispetto a quando non si disponeva di simili strumenti.

Ma questa “ubiquità”, la moltiplicazione degli input che possiamo inviare in un unico momento, delle attività che possiamo fare e delle persone che possiamo raggiungere è davvero un elemento positivo per ciascuno di noi?

Non è detto che lo sia. L’essenza della modernità, su formulazione di Hartmut, consiste proprio nell’“idea che gli individui dovrebbero avere il diritto e l’opportunità di trovare un modo di vivere che autenticamente corrisponda ai loro desideri, aspirazioni e capacità”. 

La contrazione del presente e la sua perdita di valore

Questa accelerazione, comporta quella che altri due filosofi, Hermann Lubbe e Reinhart Koselleck, definiscono come “contrazione del presente”: tutti noi, cercando di ottimizzare i tempi con l’aiuto della tecnologia e svolgendo sempre più attività nel minor tempo possibile, non riusciamo a cogliere l’attimo presente, a vivere a pieno ciò che accade sotto i nostri sensi, poiché questi ultimi sono offuscati dai desideri o dalla necessità di “spingersi oltre” e “fare di più”, anche in funzione del maggior volume di richieste prodotte dalle persone che ci circondano, a loro volta dotate di migliori mezzi. Il presente, inteso come unico momento di stabilità e di equilibrio tra le nostre aspirazioni e il nostro agire effettivo, perde di valore, rispetto al continuo desiderio di stare al passo con i tempi, o addirittura di velocizzarsi. Ma affinchè vi sia una vera e propria stabilità, è necessario che ciò che esperiamo e ciò che possiamo aspettarci o sperare nel tempo co-appartengano ad uno stesso piano ontologico. 

Ma il tema posto dai due filosofi non si limita alla stabilità, equilibrio e senso di appagamento della persona. Possiamo riflettere su ulteriori conseguenze derivanti dalla mancata percezione dell’ “hic et nunc”: il futuro non può essere previsto in maniera attendibile e il passato, fondamentale patrimonio culturale per trarre degli insegnamenti, non viene più consultato. Per questo motivo il filosofo definisce l’accelerazione sociale come “un aumento nel tasso-di-decadenza dell’affidabilità reciprocamente di esperienze ed aspettative e, parimenti, dalla contrazione degli archi di tempo definibili come “presente””.  E in tutto ciò anche la filosofia ne risente, perché la contrazione e l’accelerazione compromettono non solo l’appropriazione dei contenuti, ma anche la loro comprensione, per la quale sono richiesti determinati tempi. 

Social acceleration da un punto di vista antropologico

E allora questa accelerazione sociale e tecnologica cosa produce nell’uomo? Certamente produce un senso di smarrimento e di insicurezza, dato che viene meno il principio oraziano del “carpe diem” e diviene difficile cercare di afferrare ed interiorizzare tutto quello che la nostra cultura e la tecnica in continua evoluzione producono e ci offrono, dato che dopo un attimo è già superato. Si verifica quindi un progressivo tasso di obsolescenza dei prodotti e delle scoperte, in quanto in breve tempo perderanno di valore, essendo sostituiti da altre invenzioni che andranno a sostituirsi. Si fanno tante esperienze singole, ma si perde la concezione di un’esperienza durevole e di qualità, capace di lasciare un segno nella nostra vita. 

La relazione annichilente del tempo rispetto allo spazio 

Un’altra area tematica analizzata dal filosofo Hartmut Rosa riguarda il rapporto fra spazio e tempo. Quello che si verifica, infatti, è un vero e proprio sovvertimento della concezione di “spazio” rispetto al “tempo”, finendo per sopravvalutare il secondo elemento a detrimento del primo. Precedentemente la priorità antropologica era riservata allo “spazio”, infatti l’infante imparava prima di tutto le nozioni di “destra-sinistra” e a orientarsi nello spazio grazie al proprio corpo, mentre la concezione del “prima” e del “dopo” solo in un secondo momento. Ora questa priorità è stata sostituita da un “annichilimento dello spazio attraverso il tempo, causato dai processi temporali dell’accelerazione” ed è proprio solo il fattore temporale quello che viene preso in considerazione per determinare il successo o il fallimento di un determinato progetto. Questa rivoluzione tecnologica ha determinato positivamente una velocità crescente delle comunicazioni e delle trasmissioni, ma ha comportato quello che Rosa definisce come “frenetic standstill”, ossia un’immobilità totalmente nuova degli esseri umani rispetto a uno spostamento continuo del mondo verso loro stessi. Non solo perde sempre più d’importanza il principium individuationis, quindi l’importanza della presenza e della fisicità dell’uomo, a favore di una “tele-presenza” resa possibile dalla tecnica, ma si verifica anche una sclerotizzazione della creatività e della riproducibilità in ambito culturale, per cui non c’è più tempo per riflettere sul presente e per produrre contenuti validi e di successo.

I tre tipi di accelerazione e le loro implicazioni

Analizzando e studiando il fenomeno dell’accelerazione, il filosofo Hartmut Rosa ha distinto tre tipi di accelerazione: 

  • L’accelerazione tecnico-tecnologica
  • L’accelerazione del cambiamento sociale
  • L’accelerazione del ritmo di vita

Per quanto riguarda l’accelerazione tecnico-tecnologica, essa si caratterizza soprattutto per il suo essere intenzionale, per essere misurata più facilmente delle altre e per generare un aumento della velocità media nei vari processi.

L’accelerazione sociale invece considera non solo i cambiamenti all’interno della società stessa, ma anche i fattori che determinano una compressione di questi cambiamenti, verificatisi in un arco di tempo sempre minore. A questi cambiamenti si affianca, come conseguenza, l’ossessione dell’individuo di adattarsi continuamente, al fine di essere sempre up-to-date, e il desiderio di stare sempre al passo con le innovazioni, anche se questo viene spesso percepito come un tentativo insufficiente.

Infine, per quanto riguarda l’accelerazione del ritmo di vita degli individui, essa viene definita come “un aumento del numero delle azioni e/o delle esperienze in un singolo lasso di tempo dovuto alla scarsità delle risorse temporali”; tutto ciò comporta una sensazione fenomenologica di “carenza di tempo”, infatti le persone, nonostante le innovazioni tecnologiche, si sentono lo stesso oberate di lavoro da svolgere. E per quale motivo le promesse di riscatto del cosiddetto “tempo libero” vengono disattese da queste innovazioni? Perché la mancanza di tempo diventa una patologia?  

Rosa per motivare questa involuzione paradossale analizza il rapporto tra il tasso di accelerazione delle società e quello di “produzione” e di “crescita”; egli constata che la linea della “crescita” eccede quella dell’accelerazione tecnologica, per cui si avranno sempre più compiti da svolgere in breve tempo, rispetto al passato, dove gli stessi lavori richiedevano più giorni. 

È evidente che sviluppare nuove tecnologie che promettono di facilitare il lavoro e di svolgerlo in poco tempo, comporta la produzione di un numero sempre maggiore di richieste e task da gestire, i quali vanno a saturare quel tempo che era destinato ad essere liberato dalle medesime tecnologie. Il risultato è una continua “condensazione dei lavori”, un aumento crescente dei compiti da svolgere in breve tempo, senza che si possa ricavare quel tempo libero tanto sperato. Si crea così un circolo vizioso in cui le persone, sentendosi sempre più oberate di compiti da svolgere e con la percezione di non avere mai tempo a sufficienza, richiedono una  maggiore velocizzazione dei vari processi e una nuova ondata di technical acceleration, al fine di liberare il tempo e diminuire il carico di lavoro. 

Le tre accelerazioni analizzate finiscono così per auto-alimentarsi, rischiando di determinare una crescita del distacco dell’uomo dalla percezione con la realtà.

Ma se gli uomini cominciano a nutrire insicurezza nei confronti dei loro valori, se la tecnologia li spinge ad isolarsi dalla società, se il mondo comincia ad essere per loro freddo, vuoto e distante, allora tutto ciò conduce a una forma di alienazione da sé stessi e dal loro lavoro. Nietzsche, filosofo tedesco vissuto nell’ultima metà del XIX secolo, avrebbe definito questo fenomeno come ‘’la morte di Dio’’, intesa non in senso religioso, ma in senso metaforico, ossia come crollo di tutti i valori e principi cardine che hanno sempre accompagnato ogni uomo. E la soluzione che lui proponeva per superare il nichilismo imminente, e che sembra valida anche al giorno d’oggi, era di fermarsi, riflettere su ciò che stava accadendo, imparare dal passato e poi agire, dandosi dei nuovi valori e cercando di non commettere gli stessi errori. 

Per concludere…

L’ innovazione certamente è positiva, ma lo è se tiene in considerazione il passato, il presente, e tutte le implicazioni che questi cambiamenti possono comportare a livello sociologico. Essa non può prescindere da queste riflessioni, altrimenti si rischierebbe di commettere continui errori ed essere fagocitati da dinamiche alienanti. 

Ed ecco perché crediamo che proprio gli Innovation Manager, oggi ufficialmente incaricati di traghettare le aziende verso una digitalizzazione ed un efficientamento continuo, assolvano ad un compito arduo e tutt’altro che banale. E la filosofia, spesso discriminata per la sua apparente indeterminatezza, è a nostro avviso uno strumento apprezzabile e complementare, poiché si occupa di studiare le cause di un fenomeno e riflettere su ciò che accade da un punto di vista più alto ed esteso, aiutandoci ad essere degli “innovatori-pensanti”. 

Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-1911, Museum of Modern art New York
 
Considerata la prima opera futurista del pittore, attraverso pennellate “filamentose” e utilizzando colori molto accesi, che attirano subito l’attenzione, il pittore ha rappresentato il sorgere di una nuova città, simbolo del progresso costante. In basso e in primo piano si notano alcuni uomini che sono gli artefici di questo sviluppo e ne viene esaltato lo sforzo lavorativo, infatti anch’essi sembrano travolti dalla “fiumana del progresso”. L’uomo infatti, un tempo come oggi, non può sottrarsi alla velocità e al cambiamento immanente, proprio perché la vita e l’universo non conoscono l’ordine e la quiete. Il mutamento della realtà e l’innovazione tecnologica sono quindi dei fondamenti della vita, ma questi non devono mai eclissare la figura dell’uomo e il suo benessere nel mondo.

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